[Tre fun facts, un tovagliolo e – tra le altre cose – il MES]

peracomics-274-2Ieri pomeriggio, mentre ancora gongolavo in uno stato di frastornato incantamento dopo la diretta streaming di Silvia Federici, ospitata sulla pagina Facebook di Derive e Approdi Editore in occasione della pubblicazione della sua nuova raccolta di saggi “Genere e Capitale – Per una lettura femminista del marxismo”, mi sono imbattuta in due (not really) fun facts sui quali, se la nostra conoscenza del mondo per come l’abbiamo esperito finora non fosse quotidianamente destrutturata dagli effetti della pandemia da COVID-19, saremmo anche riusciti a farci della satira, esorcizzando attraverso il riso l’inadeguatezza di quell’approccio tutto italico alla risoluzione dei problemi che del mantra “tocca mettecene ‘na pezza” si è fatto pioniere e primo esportatore nel mondo. Tuttavia, il quadro sanitario e socio-economico in cui oggi siamo impaludati è ben altro da quello che ci si prospettava a fine febbraio. Il riso, credo per una buona parte di noi, non è più in grado di svolgere il ruolo di valvola catartica di fronte a una gestione e comunicazione della crisi non soltanto disorganizzate, irresponsabili e evidentemente disinteressate alla tutela della salute pubblica, ma anche irrispettose verso l’intelligenza e i bisogni concreti dei cittadini.

Primo (not really) fun fact: la Regione Lombardia e “C’era una cosa che dovevam fare – ma cosa? Iniziava con la C, cos’era? Il calzone fritto di Luini? Ah perdindirindina, la richiesta per la CASSA INTEGRAZIONE!”

In una diretta Instagram di Lia Quartapelle vengo a scoprire che la giunta della Regione Lombardia – la quale in data 17 aprile 2020 sulla base degli ultimi dati rilasciati dalla Protezione Civile registra 64.135 casi positivi, 11.851 morti e un tasso di letalità del 18,5% (i dati sono inattendibili, lo sappiamo, ma ci aiutano a tratteggiare la gravità della situazione, seppur per difetto nel numero di contagi e decessi) – soltanto il 15 aprile, ovvero a oltre un mese dall’inizio del lockdown, ha emanato gli atti necessari a erogare la cassa integrazione in deroga all’INPS ai lavoratori lombardi. 

La CIG in deroga, leggiamo in un avviso pubblicato il 25 marzo nel sito di Regione Lombardia, è un ammortizzatore sociale che in caso di gravi crisi che colpiscono l’economia interviene a sostegno di datori di lavoro, imprese e lavoratori dipendenti di qualunque settore e tipologia, per evitare licenziamenti. Essa prevede la corresponsione, da parte dell’INPS, di una indennità mensile per tutti i coloro che hanno dovuto sospendere l’attività o ridurre le ore di lavoro […] Con i Decreti-Legge n. 9/2020 e n. 18/2020, nell’ambito delle misure urgenti connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, è stata pertanto prevista la reintroduzione dello strumento della Cassa Integrazione Guadagni in Deroga. In questo contesto, dopo una analisi complessiva della situazione e la condivisione di obiettivi e regole, il 23 marzo scorso Regione Lombardia e Parti Sociali hanno sottoscritto l’Accordo Quadro che stabilisce i criteri di accesso a tale strumento”.  Come riportava Varese News in un articolo del 14 aprile : “[…] In mancanza degli adempimenti da parte di Regione Lombardia, previsti dallo stesso accordo, delle incombenze poste in capo ad essa e relative alla trasmissione dei dati necessari per il transito via INPS dell’erogazione dei fondi stessi, i lavoratori rischiano di vedere contestate le somme a loro versate a titolo di anticipo, da parte degli istituti di credito”.

A tutt’oggi la giunta Fontana non ha chiarito le motivazioni alla base di questo gigantesco ritardo nell’approvazione del Fondo di anticipazione sociale 2020 e nella trasmissione dei dati all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale.

Secondo (not really) fun-fact: A vulisti a bicicletta, ora pidala

Stante la necessità da parte degli organi istituzionali a livello locale, nazionale e trans-nazionale di implementare una visione coordinata sempre più pro-green delle infrastrutture e dei trasporti, recepire dalla task force a guida Colao come prima iniziativa nel piano della messa in sicurezza dei mezzi pubblici “un incremento dei finanziamenti per la produzione delle biciclette elettriche e per la costruzione di nuove piste ciclabili” è ragione sia di paura che di rabbia sociali. Difatti, sebbene il sindaco di Milano in diretta video da Palazzo Marino abbia elogiato la creatività della proposta strizzando l’occhio agli hipster e ponendo strumentalmente l’accento sulla sua eco-compatibilità, il messaggio trasmesso dalla task-force in soldoni può tradursi come segue: “NON USATE I MEZZI PUBBLICI, A MENO CHE NON VI SIATE TRITURATI UN BRACCIO NELLA PLANETARIA MENTRE PREPARAVATE L’IMPASTO DELLA PIZZA, ABITATE DA SOLI, NON SIETE AUTO-MUNITI O VI RIESCE UN FILO OSTICO GUIDARE CAUSA BRACCIO A PENZOLONI E NON CI SONO AMBULANZE DISPONIBILI PER TRASPORTARVI AL PRONTO SOCCORSO NEL GIRO DI 5 MINUTI – A QUEL PUNTO TANTO VALE CHE PRENDETE LA METRO DATO CHE DOVRETE ENTRARE IN OSPEDALE E AVRETE IL 110% DI PROBABILITÀ DI BECCARVI L’INFEZIONE DA COVID-19, SENZA MANCO ESSERVE MAGNATI LA PIZZA”.

Voi ribatterete: sì, ma questa è solo una delle iniziative, la prima che è stata messa sul tavolo delle discussioni. Appunto, è stata la prima a essere avanzata e sopratutto mediatizzata. Proposte di questo tipo contribuiscono a esacerbare una tensione sociale che nelle diseguaglianze si alimenta e si cronicizza. Se io lavoro in un impianto chimico di Treviglio, non sono auto-munito e il solo mezzo che ho per raggiungere il luogo di lavoro è la combinazione treno + bus, sarò obbligato a fruire di mezzi pubblici che implichino rotaie, binari, vagoni. E  pretendo che la mia salute goda di misure di tutela altrettanto valide a quelle applicate al Sig. Fumagalli che ha l’appartamento in Città Studi e in dieci minuti a piedi arriva nel suo ufficio in Piazzale Loreto. Propendere per l’adozione di soluzioni posticce e riservate a un numero circoscritto di soggettività rischia, da una parte, di rallentare il piano di riprogrammazione di infrastrutture e trasporti indispensabile sul medio-lungo termine; dall’altra di favorire alcune classi di lavoratori a discapito di altre, inasprendo ulteriormente la discriminazione sulla base di parametri  tra loro interconnessi quali PIL pro-capite, tipo di lavoro svolto, distanza geografica tra abitazione e luogo di lavoro, appartenenza etnica, disabilità etc. (perché, sebbene il divario numerico nei decessi e contagi tra categorie di soggettività diverse salti più all’occhio in realtà come gli Stati Uniti, la razzializzazione, il classismo e l’abilismo sono denominatori comuni trans-nazionali nella manifestazione e nella narrazione di questa crisi).

In conclusione, una storia pedagogica sulla querelle MES o non MES e che ha per protagonisti me, una mela e tre tovaglioli. 

Alle 15.30 del 4 ottobre 2018, nelle mie 24 ore di permanenza presso l’Unità Operativa Psichiatrica nel reparto “Disturbi del Comportamento Alimentare e Ansia Generalizzata” di un ospedale di Milano, una voce robotica mi convoca nel loculo-refettorio per consumare la merenda che consisteva di una mela e di una tazza di orzo delle dimensioni di un vaso per Bouganville, la cui suzione mi ha permesso di risolvere in anticipo tutti i problemi di ritenzione idrica che sarebbero insorti da qui alla mia dipartita. Ebbene, la mela giaceva su un mini-tovagliolo, di quelli da bar per pulirsi la bocca insozzata di crema pasticcera prima di tumularsi in ufficio (se anche voi vibrate di nostalgia al solo ricordo della texture ruvida della carta e vi state strofinando contro la guancia la spugnetta abrasiva per lavare i piatti, sul sito del Ministero della Salute reperite facilmente i numeri per lo sportello di ascolto psicologico regione per regione).

Sul tavolo non ci sono piatti, ma mi viene fornito in dotazione un coltello di plastica affilato quanto le forbici dalla punta arrotondata di Dodò. Inizio lentamente a sbucciare la mela (a causa di un cortocircuito genetico avvenuto al momento del concepimento non ho mai sviluppato la capacità dei primate di utilizzare il pollice opponibile, il che mi rende la sbucciatura della frutta un’attività difficoltosa già con una sega elettrica – laddove possibile, la delego ai/alle coinquilini/e o mangio banane e mandarini che non richiedono l’impiego di posate), per trenta minuti le ausiliarie (che per esigenze di tutela della privacy chiameremo Pinco e Panco) mantengono uno sguardo inquisitore fisso sulle mie mani che si incartano l’una sull’altra tra filamenti di buccia come nella frenesia tipica dei passaggi conclusivi di Milikituli. Mi guardano e pensano: pesi 34 kg, hai 29 anni e non sai neanche sbucciare una mela, vedi dei motivi validi per vivere? Dopo aver desunto con sconforto un certo grado di insofferenza nella loro postura, con le dita incollate di succo di mela, chiedo di avere un paio di tovaglioli extra.

Silenzio tombale. Gli occhi delle ragazze sedute al tavolo con me, fino a quel momento ingobbiti sulla pozione drenante di orzo, scattano in su, attraversate da un guizzo di paura elettrica. Dallo zenit di spigolosità degli zigomi di Pinco e Panco, capisco che la mia richiesta nel loro regno prevede come pena minima la ghigliottina. “Mmm, non è possibile avere dei tovaglioli in più?” domando, cercando di fingere una socievolezza che di secondo in secondo si fa sempre più inappropriata, mentre mi cresce dentro  a dismisura  il senso di colpa derivante dalla consapevolezza che “non solo il mio ricovero grava sul sistema sanitario nazionale, ma il mio surplus di tovaglioli avrà come effetto butterfly la chiusura di una mensa per senza tetto in Nicaragua”. “Sei nuova, perciò non potevi saperlo, ma no, non puoi avere altri tovaglioli”, ribatte Pinco con la voce che immagino abbia Alexa nel braccio della morte. “Per oggi ti diamo un altro tovagliolo, ma da domani devi imparare a usare le risorse che hai a disposizione” le fa eco Panco, che ha poi applicato per una vacancy nel Ministero dell’Economia olandese. “Ma perché, scusatemi”, domando io con un piglio insolente, auto-scritturandomi come stunt-woman  di Angelina Jolie in “Ragazze Interrotte, “Per quale motivo non possiamo  avere altri tovaglioli?”. Pinco e Panco, all’unisono come nei peggiori incubi gemellari di Kubrick, dichiarano senza diritto di contraddittorio: ” È una questione di principio, è la regola”. 

Morale: è infinitamente stupido rifiutare per una questione di principio, in difesa di equilibri di potere e di polarizzazioni ideologiche, i 36 miliardi che sarebbero stanziati all’Italia tramite l’attivazione del MES, senza vincoli di condizionalità, per garantire interventi di ristrutturazione di un SSN allo sbando con un capitale umano allo stremo?

Infinitamente sì.

 

Una risposta a "[Tre fun facts, un tovagliolo e – tra le altre cose – il MES]"

  1. è lo stesso principio di stupidità infinita per cui il governo britannico da settimane non ha ancora risposto alle aziende tessili che si sono proposte, affrettandosi a presentare la documentazione richiesta dal governo, di convertire i propri impianti per produrre mascherine e altri prodotti di uso sanitario data la carenza accertata in tutti gli ospedali e case di cura.

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